Il termine stretching proviene dall’inglese to stretch, che significa letteralmente allungare, stirare, e rappresenta la metodica di allenamento che viene utilizzata per migliorare la flessibilità muscolare attraverso l’esecuzione di esercizi semplici o complessi di allungamento. Nell’ambito della preparazione fisica, la comparsa di esercizi di allungamento muscolare e vari tipi di stretching ha rappresentato un notevole passo in avanti in quanto gli atleti hanno imparato a prestare più attenzione alle differenti sollecitazioni dei diversi gruppi muscolari e alla mobilità articolare. Andiamo a vedere i tipi di stretching che è possibile svolgere.
Indice dell'articolo
Fattori che influenzano la mobilità articolare
In realtà lo stretching, come qualsiasi altro mezzo allenante, presenta molteplici sfaccettature e non può essere accettato incondizionatamente. La mobilità articolare si distingue in tre forme:
- anatomica, cioè l’escursione articolare consentita dalla struttura anatomica;
- attiva, cioè la massima escursione articolare raggiunta contraendo la muscolatura agonista e rilassando (allungando) quella antagonista;
- passiva, cioè la massima escursione articolare raggiunta grazie all’azione di forze esterne e alla capacità di allungamento della muscolatura.
La mobilità di un’articolazione viene influenzata in primis dalla capsula articolare, che influisce per il 47%, poi dai muscoli, per il 41% ed infine dai tendini, per il 10%.
I fattori che influenzano la mobilità articolare, o meglio la flessibilità muscolo-articolare, possono essere esogeni, cioè legati a fattori esterni, o endogeni, legati alle caratteristiche del soggetto. I fattori esogeni sono:
- fattori ambientali: temperatura e livelli di umidità;
- forze esterne: gravità, azione di un compagno.
Tra i fattori endogeni troviamo:
- età;
- sesso;
- caratteristiche anatomiche funzionali: gradi di libertà dell’articolazione, capsula articolare e legamenti, coordinazione intermuscolare agonista-antagonista, attività dei propriocettori (fusi neuromuscolari e organi muscolo tendinei del Golgi);
- aspetti metabolici: fatica, ritmi circadiani;
- aspetti psicologici: eccitazione/depressione e relativa regolazione del tono muscolare.
Tipi di Stretching
A seconda delle discipline sportive si sono sviluppate diversi tipi di stretching:
- stretching balistico;
- stretching dinamico;
- stretching statico (metodo Anderson);
- PNF, CRAC;
- stretching globale attivo.
Stretching Balistico
Si tratta di uno dei più diffusi tipi di stretching negli anni Settanta e Ottanta, ormai considerata obsoleta, che consiste nel far oscillare ripetutamente arti o busto nel tentativo di forzare l’allungamento muscolare oltre il suo range di movimento. La “tecnica del molleggio” è la parte più criticata di questa tecnica in quanto può risultare controproducente e dannosa (Shellock 1985, Stamford 1984, Stark 1997): i muscoli, infatti, sono protetti da recettori (fusi neuromuscolari) i quali attivano il riflesso miotatico, quando vengono sottoposti ad eccesivo allungamento, contraendoli. Le conseguenze di ciò possono essere microtraumi, stiramenti e piccole lesioni che possono creare cicatrici nel tessuto muscolare con conseguente diminuzione di elasticità.
Stretching Dinamico
Simile al balistico, si differenzia per le modalità di esecuzione degli esercizi. L’oscillazione degli arti o del busto avviene, infatti, in maniera dapprima lenta e controllata, poi più veloce cercando di sfruttare gradatamente tutta l’ampiezza concessa dall’articolazione, evitando il “rimbalzo” o il “molleggio”.
Stretching Statico
Questo tipo di stretching è stata ideata dallo svedese Bob Anderson. Si basa su una graduale tensione, rilassata, progressiva e prolungata dei vari distretti muscolari. Si articola in due fasi; nella prima fase si raggiunge l’allungamento da tenere per almeno 20”-30”, in modo tale da attivare gli organi del Golgi, i quali tramite il riflesso miotatico inverso, determinano un rilasciamento del muscolo che consente un ulteriore allungamento (seconda fase) da tenere per altri 30”.
Fasi dello stretching statico:
- ricerca graduale della posizione di massimo allungamento da mantenre per 20”-30”; evitare dolore e irrigidimento;
- ricerca di un ulteriore allungamento da mantenere per altri 30”;
- rilassare la muscolatura e ripetere se necessario.
Streching PNF
La tecnica PNF (Proprioceptive Neuromuscular Facilitation) è una metodica di allungamento muscolare elaborata dal neurofisiologo americano H. Kabat alla fine degli anni Quaranta come rieducazione muscolare. La tecnica PNF utilizza una contrazione isometrica con rilassamento dalla muscolatura agonista, nella quale i muscoli allungati vengono contratti isometricamente e poi rilassati.
La pratica di questa tecnica è la stessa per ogni muscolo.
Le fasi esecutive sono le seguenti:
- assumere lentamente la posizione di massimo allungamento e mantenerla per qualche secondo;
- effettuare una contrazione isometrica submassimale di 6”-15”;
- breve rilassamento dei muscoli per 2”-5”;
- allungare successivamente lo stesso muscolo;
- mantener la posizione di massimo allungamento per 30”;
- ritornare nella posizione iniziale in 6”-8”.
LEGGI ANCHE: Stretching PNF: teoria e pratica
Streching CRAC
CRAC deriva dall’inglese “Contract Relax Antagonist Contract” che significa “Contrazione rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti”. Questa è una variante del PNF che prevede l’intervento attivo della muscolatura antagonista. Il CRAC si basa sul principio neurofisiologico dell’inibizione reciproca, secondo cui la contrazione dell’agonista comporterebbe un rilassamento ulteriore dell’antagonista.
Le fasi esecutive sono:
- assumere la posizione di allungamento in 6”- 8”;
- effettuare una contrazione isometrica di 6”-8”;
- breve rilassamento dei muscoli per 2”-5”;
- raggiungere di nuovo la posizione di massimo allungamento in 6”-8” contraendo i muscoli antagonisti;
- mantenere la posizione di massimo allungamento mantenendo contratti i muscoli antagonisti. Evitare dolore;
- ritornare alla posizione iniziale in 6”-8”.
Stretching Globale Attivo
La nascita di questa metodica è da attribuire fisioterapista francese Francois Mézierés. Diversamente dallo stretching classico, che prevede l’allungamento distrettuale, questa tecnica si basa sull’allungamento delle catene muscolari e consiste nel mantenere per alcuni minuti (da 2’ a 20’) specifiche posizioni o “posture”, eliminando in maniera attiva tutti i compensi in maniera tale da consentire l’allungamento stabile di tutta la catena.
Bibliografia
- Anderson B, The perfect pre-run stretching routine, Runners World 13(5): 56-61, 1978
- Stamford B, Flexibility and stretching. Phys Sportsmed, 12(2): 171, 1984