Uno dei miti ancora molto radicati nel mondo del fitness, poichè ancora molto controbattuti dai preparatori atletici che appartengono alle vecchie scuole di pensiero, riguarda lo stretching. Molti atleti, infatti, mettono in allungamento i loro muscoli prima di una competizione sportiva credendo di ridurre il rischio di infortuni, di migliorare la prestazione atletica e ridurre i dolori post-allenamento ad insorgenza ritardata, i cosiddetti DOMS. Lo stretching fa bene o male?
In questo articolo, aiutandoci con alcune revisioni presenti in letteratura, proveremo a sfatare questi 3 miti.
Innanzitutto voglio dire che qui parliamo di stretching statico, esistono diversi tipi di stretching: statico, dinamico, balistico, PNF. E si parla di stretching statico prima di una prestazione, nessuno vieta di eseguirlo prima di un allenamento se si hanno dei validi motivi, ma farlo prima di una gara andrà indiscutibilmente ad inficiarne sulla prestazione in negativo. Lo stretching dinamico, invece, non produce secondo la letteratura scientifica nessun peggioramento, ma neanche nessun miglioramento della prestazione, e può quindi essere inserito tranquillamente nel warm-up in preparazione alla prestazione.
Qualcuno potrebbe giustamente chiedersi perchè i grandi preparatori atletici inseriscano lo stretching statico anche prima di una gara, e di questo ne discuteremo alla fine dell’articolo, dopo aver spiegato l’argomento di questo articolo.
Indice dell'articolo
Lo stretching è efficace per la prevenzione degli infortuni?
Sin dall’inizio degli anni 80, infatti, lo stretching statico è stato promosso come un metodo di prevenzione degli infortuni muscolari e di miglioramento delle prestazioni, se eseguito prima dell’attività in questione (1).
E’ quindi diventato popolare includerlo nella routine di riscaldamento prima dell’allenamento o della gara ed è diventata credenza comune che un lento e controllato allungamento muscolare possa essere applicato in sicurezza rispetto ad altre modalità di stretching (2).
Attualmente sono presenti pochissime evidenze a sostegno di queste affermazioni, con una letteratura scarna e spesso contradditoria. Invece molte altre ricerche sostengono che qualsiasi tipo di stretching eseguito prima di una prestazione sportiva possa aumentare il rischio di infortunio (3) (4).
La flessibilità è stata citata da ricerche epidemiologiche come una dei fattori primari associati agli infortuni, e più specificatamente agli stiramenti muscoltendinei (5), i più frequenti infortuni muscolari (6). C’è un grosso dibattito sul livello ottimale di flessibilità richiesta per migliorare la performance e prevenire gli infortuni, con delle ricerche che affermano che gli atleti che hanno troppa o troppo poca flessibilità hanno un rischio maggiore di infortunarsi rispetto ad un gruppo medio (7)(8). Altre ricerche hanno osservato che la bassa flessibilità è un fattore di rischio per gli infortuni da “overuse”, ossia infortuni dovuti ad un leggero e prolungato stress alle strutture, mentre l’alta flessibilità è un fattore di rischio per infortuni acuti nei maschi (9).
Lo stretching statico è largamente riconosciuto come un metodo efficace per aumentare il range articolare (ROM) e la flessibilità (10)(11)(12)(13)(14) e sono comuni le credenze che un aumento del ROM diminuisca il rischio di infortuni (15).
I due fattori più comuni associati alle lesioni muscoloscheletriche relative all’esercizio sono la stiffness muscolare (ossia la resistenza presente nello scorrimento delle fibre muscolari) e la mancanza di ROM. (16)(17), ed entrambi, secondi degli studi, possono essere compensati con tecniche di stretching statico (18)(19).
La maggior parte degli studi scientifici però non concorda con queste conclusioni, infatti non dimostrano effetti positivi nella relazione tra stretching statico e prevenzione degli infortuni. Molti autori si sono inoltre chiesti come un aumento del ROM articolare possa prevenire gli infortuni, visto che di solito avvengono a range articolari medi (20). Inoltre altre ricerche hanno suggerito che uno stretching che va ad aumentare la flessibilità e il ROM articolare oltre a quello richiesto della attività fisica praticata o dal gesto atletico richiesto, non porta benefici ma, anzi, aumenta il rischio di infortunio (21), oltre a causare danni a livello citoscheletrico (22)(23). E’ evidente infatti che aumentare l’allungamento delle fibre muscolari e quindi lo scorrimento tra actina e miosina agli estremi non permette la formazione del massimo numero di ponti trasversi, inficiando negativamente sulla forza prodotta. Murphy, in uno studio del 1991 (24), ha inoltre riaffermato che lo stretching statico preallenamento non previene gli infortuni. Infatti sostiene che il riscaldamento prima dell’esercizio viene svolto per aumentare la temperatura corporea, la quale aumenta la flessibilità e riduce il rischio di infortuni. Lo stretching statico, invece, è una tecnica passiva che non riscalda il muscolo ma lo allunga solamente provocando lesioni citoscheletriche ed a livello miofibrillare e quindi non è una buona strategia per la prevenzione degli infortuni. Altre ricerche hanno inoltre specificato che molti altri fattori devono essere considerati. Il rischio di infortunio infatti, è correlato alla contrazione eccentrica ed alla nutrizione (25) mentre età, altezza, e perso non appaiono fattori rilevanti al rischio infortunio.
In conclusione, per quanto riguarda la prevenzione degli infortuni, attualmente non sono presenti prove sufficienti in letteratura per affermare che lo stretching preallenamento possa ridurre il rischio di infortuni muscolari. Anzi, secondo alcuni studi citati, può essere dannoso a livello citoscheletrico e miofibrillare, ed inoltre se la maggioranza degli infortuni avviene a mid-range articolare, questo è un fattore di esclusione molto importante per lo stretching. Sono però necessari ulteriori studi per arrivare a delle conclusioni certe.
Lo stretching è efficace per l’aumento delle performance?
Qui la letteratura è molto chiara ed evidenza che lo stetching preallenamento o pregara, non solo è inutile, ma anche dannoso per le performance atletiche nella maggior parte degli sport.
Nelle performance di salto, per esempio, ci sono molti studi che sostengono che lo stretching preallenamento diminuisce le performance. Sono state effettuate misurazioni della potenza, della MVC (massima contrazione volontaria), dell’altezza del salto, della forza del salto e della velocità di salto e tutti sono concordi nell’affermare che lo stretching statico diminuisce le performance mentre quello dinamico non ha influenze (26)(27)(28)(29). Lo stretching statico ha diminuito, infatti del 4.5% della performance mentre quello dinamico dello 0,5%.
Anche negli sprinter lo stretching diminuisce la performance muscolare poiché una diminuzione della forza di contrazione massimale influenza notevolmente questo tipo di gare molto brevi. E’ stato evidenziato una diminuzione di 14 centesimi sui 35 m. In uno studio effettuato su giocatori della NCAA (30), lo stretching passivo ha aumentato notevolmente i tempi di percorrenza dei 20m sia effettuando stretching su un arto, sia in entrambi, ovviamente con un tempo maggiore nel secondo caso.
Per gli sprinter si ipotizza che questa sia dovuta all’impossibilità di accumulare energia nelle unita muscolotendinee. Infatti, in seguito ad un allungamento indotto passivamente aumentano la loro compliance perdendo in parte la loro caratteristica di accumulatori di energia dovuta alle loro componenti elestiche, sia tendinee che muscolari, messe in allungamento prima dell’attività e durante. E’ stata evidenziato soprattutto nella fase di carico della corsa, a metà del ciclo, dove l’attività eccentrica dei muscoli dell’arto a contatto con il terreno accumulano energia elestica trasformandola poi in cinetica nella fase successiva della corsa, nella fase concentrica del movimento atto a favorire la propulsione.
E’ possibile dare un’ulteriore spiegazione, di tipo neurologica. Infatti durante la fase eccentrica viene stimolato il riflesso di stiramento, chiamato cosi perchè interviene dopo un eccessivo allungamento per prevenire danni e stiramenti muscolari ed è mediato dai fusi neuromuscolari, delle fibre non contrattili presenti nei muscoli. Questo tipo di riflesso, stimolato appunto nella fase eccentrica di allungamento, aumenta la capacità contrattile del muscolo nella fase concentrica, ossia quella di propulsione. Lo stretching, andando a portare in allungamento il muscolo, va ad inibire, o meglio, ritardare la risposta ed alzare la soglia di attivazione del riflesso di stiramento, andando quindi ad eliminare i benefici che questo portava alla prestazione (30).
Anche negli sport di resistenza lo stretching è controindicato poiché è stata dimostrata una proporzionalità inversa tra il ROM di un’articolazione e quindi la flessibilità, e l’economia del movimento, ed in questo caso la corsa.
Come detto precedentemente, anche in questo caso è stato confermato il fatto che lo stretching di un gruppo muscolare va a diminuire la stiffness, ossia la resistenza allo scorrimento che oppongono le fibre all’interno. Viene inibita quindi una delle proprietà delle strutture elastiche muscolotendinee, ossia quella di accumulare energia elastica. E’ evidente quindi che questo diminuisce l’economia del movimento (31).
E i DOMS?
Anche in questo caso, lo stretching preallenamento si è rivelato poco funzionante Infatti, secondo una revisione di Cochrane del 2007, non andrebbe a migliorare la vascolarizzazione quindi limitare gli eventi infiammatori che si vanno a formare dopo le microlacerazioni che si formano nelle fibre muscolari in seguito ad un esercizio eccentrico. Inoltre, spesso, è proprio lo stretching eseguito male a portare dolori ad insorgenza ritardata di tipo DOMS. Infatti l’atleta allunga il muscolo fino alla soglia del dolore, attivando il riflesso di stiramento che stimola una contrazione muscolare di tipo eccentrico, che va a rallentare l’allungamento che l’atleta pone passivamente al muscolo. Ed è’ proprio questo tipo di contrazione che è la maggior imputata per i DOMS.
Quindi Stretching? Solo dopo l’allenamento, per mantenere un’adeguata flessibilità e un adeguato range articolare utili al gesto atletico, e limitarsi al dinamico prima.
Tornando alla questione iniziale, si è spesso visto in TV come grandi preparatori, come Glen Mills (preparatore atletico di Usain Bolt), inseriscano lo stretching statico prima della gara. Non è di certo per ignoranza, visto che stiano parlando di uno dei più grandi preparatori di oggi ma dobbiamo osservare su quali muscoli viene fatto questo stretching statico. Non viene infatti fatto assolutamente sui muscoli propulsori Gastrocnemio e quadricipite soprattutto), nelle immagini pregara di Bolt si osserva come viene effettuato soprattutto sugli extrarotatori d’anca, sull’ileo-psoas e sugli ischiocrurali. I primi probabilmente per migliorare la mobilità d’anca sul piano trasversale, ed i secondi che sono muscoli spesso contratti che se allungati dopo un ottimo riscaldamento (che ne permetta di accentuare le proprietà viscoelastoplastiche dei muscoli) non provoca un allungamento delle fibre visto che accentuandone le proprietà dopo l’allungamento ritorna alla posizione di partenza, risolve però gli stati contratturali presenti che potrebbero ridurre le prestazioni o essere causa di un sovraccarico potenzialmente dannoso.
Questa è una teoria, prima abbiamo visto che secondo la letteratura può provocare danni miofibrillari e citoscheletrici, sembra una contraddizione ed in effetti lo è, ma qui, dove la scienza non è ancora arrivata, lasciamo ragionare ognuno ed esprimere le proprie opinioni ed esperienze.
Bibliografia
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