L’attività fisica prolungata e intensa (come quella degli sport di endurance) porta ad una serie di alterazioni bioumorali quali riduzione del potassio, del magnesio, del sodio, nonché l’incremento dell’azotemia e della creatinina.
Si definisce iposodiemia (o iponatriemia) una condizione clinica caratterizzata da una concentrazione sierica di sodio (Na+) < 135 mmol/l e rappresenta uno degli squilibri elettrolitici di più frequente riscontro, anche durante o dopo l’attività fisica.
I principali sintomi sono: nausea, confusione, letargia (marcata sonnolenza), disrorientamento spazio-temporale e sul sé. L’ iponatriemia grave (Na+ < 120 mmol/l) e/o improvvisa può esordire con convulsioni, ernia cerebrale e stato comatoso fino alla morte.
Tuttavia, la concentrazione sierica di sodio non è di per sè in grado di spiegare la causa sottesa all’iponatrimia; essa è infatti dovuta in primis ad un’alterazione del bilancio idrico e, in base a tale criterio clinico, si possono distinguere:
- Iponatriemia ipovolemica
- Iponatriemia ipervolemica
- Iponatriemia normovolemica (euvolemica)
In particolare, l’iponatriemia associata all’esercizio fisico (Exercise associated Hyponatriemia o EAH) viene definita come un disordine elettrolitico che si verifica durante e fino a 24 ore dopo una attività fisica di endurance. Le condizioni che predispongono a tale quadro clinico sono: esercizio strenuo ad elevata intensità praticato in ambiente molto caldo, aumentata perdita di sodio associata ad un elevato contenuto di tale elemento nel sudore in soggetti non allenati, alimentazione a basso contenuto di sodio, eccesivo introito di fluidi ipotonici in gara. La maggior parte degli atleti che manifestano iposodiemia sono asintomatici oppure possono presentare vertigini, cefalea, sonnolenza e nausea. Possono anche verificarsi, tuttavia, gravi manifestazioni quali convulsioni, edema cerebrale e morte. L’iponatriemia sintomatica è un reperto frequente osservato nello 0,1-4% degli atleti sottoposti ad attività fisica strenua e prolungata nonché nel 9% degli atleti di ultraendurance; il 27% di questi necessita di cure mediche specifiche.
L’appartenenza al genere femminile sembra predisporre maggiormente al rischio di EAH.
Anche la durata della competizione condiziona il rischio di iponatriemia. Esiste infatti una correlazione tra EAH e durata della prestazione. L’incidenza di tale condizione clinica aumenta a 4-8 ore dopo l’inizio della prestazione. Tuttavia, la prevalenza di iponatriemia indotta da esercizio non risulta superiore negli ultamaratoneti rispetto ai maratoneti.
Fisiopatologia e clinica
La fisiopatologia dell’EAH non è del tutto nota, ma sembra dipendere dalla perdita di sodio con la sudorazione, dalla conseguente disidratazione nonché dall’eccessivo introito di fluidi ipotonici. Questi fenomeni sono associato a squilibri neurologici, che inducono la riduzione dell’escrezione dell’acqua libera. L’esercizio di lunga durata, protratto in condizioni di temperatura eccessivamente elevata, può indurre una significativa perdita di sodio con la sudorazione che può ammontare a più di 1 litro all’ora con una concentrazione/ litro di sodio variabile da 20 a 100 mmol.
L’introito di elevati volumi idrici induce uno spostamento del sodio dal compartimento extracellulare all’acqua intestinale non assorbita, provocando una ulteriore diluizione del suo livello nel plasma. Il bilancio idroelettrolitico e l’osmolarità del plasma sono regolati dal rene e da sistemi ormonali che vedono in prima linea il ruolo dell’arginina vasopressina (AVP). I deficit di diluizione renale nel controllo ormonale dell’escrenzione dell’acqua libera e nell’intake di quantità eccessive di acqua concorrono allo sviluppo di ipo-osmolarità.
L’eccessiva assunzione di liquidi può essere provocata dalla sete, ma è soprattutto espressione del comportamento condizionato basato sulle raccomandazoni per evitare la disidratazione. E’ stato infatti stimato che gli atleti affetti da iponatriemia sintomatica introducono un quantitativo idrico tra i 2 e i 6 l. Come già riportato sopra, inoltre, anche l’eccessivo intake di fluidi ipotonici (400-800 ml/h).
È stata stimata, per quanto riguarda i maratoneti, una sudorazione che ammonterebbe a 1800 ml all’ora il cui contenuto sodico potrebbe oscillare tra 25-75 mEq/L; qualora il quantitativo di fluidi superi le perdite, potrebbe svilupparsi un quadro di iponatriemia. Durante l’attività di endurance, tuttavia, l’utilizzo di bevande contenenti carboidrati ed elettroliti aiuta a mantenere uno status di euglicemia, inibisce in parte il meccanismo della sete e riduce pertanto il rischio di iponatriemia.
Nel corso di un esercizio fisico strenuo e prolugato, si raccomanda un apporto di fluidi di 500 ml/h ; tale apporto deve necessariamente comprendere un quantitativo di sodio tra 0.5 0.7 g/l. Una contrazione dell’apporto idrico tale da non superare le perdite imputabili alla sudorazione, riduce il rischio di iposodiemia diluizionale. Sarebbe inoltre buona norma che gli atleti verificassero il loro peso corporeo sia prima che dopo la competizione. Infatti il fattore che contribuisce in modo preponderante all’insorgenza dell’iponatriemia è l’incremento ponderale associato all’eccessivo introito idrico in sede prestazionale.
L’acqua eliminata mediante la sudorazione, in un atleta acclimatato, può raggiungere un massimo di circa 3 l all’ora in corso di esercizio fisico strenuo. I maratoneti professionisti, in gara, vanno incontro ad una perdita di liquidi pari a 5 litri (che equivale a circa il 6-10% della massa corporea). I maratoneti amatoriali, d’altro canto, raramente vanno incontro ad una perdita di liquidi superiore a 500 ml/h.
Lo sviluppo di iponatremia è inoltre correlata alla durata dell’esercizio. Gli atleti che affrontano una competizione in un tempo superiore a 4 ore vanno incontro più frequentemente ad EHA indipendentemente dagli altri fattori concomitanti.
Gli atleti che fanno uso di farmaci infiammatori non steroidei (FANS es. acido acetil salicilico, diclofenac, ketorolac, ibuprofene, ketoprofene) sarebbero più predisposti allo sviluppo di iposodiemia.
In uno studio eseguito triatleti il cui 30% faceva uso di FANS, è stata evidenziata una correlazione tra assunzione di detti farmaci ed iponatremia. Durante l’esercizio, infatti, la capacità di diluizione renale risulta diminuita. L’esercizio fisico strenuo comporta un rilascio più elevato di catecolamine e angiotensina II che comporta un maggiore riassorbimento di sodio e acqua a livello renale.
Durante l’attività fisica, l’aumento di citochine pro-infiammatorie, in particolare interleuchina 6 (IL-6), sembrerebbe stimolare direttamente il rilascio di ormone antidiuretico. L’attività fisica di endurance induce una risposta immunitaria e infiammatoria nonchè un incremento degli indici di stress ossidativo. Nei maratoneti, infatti, è possibile riscontrare nel giorno successivo alla gara, un aumento del numero dei globuli bianchi (in particolare dei neutrofili), un incremento di circa 30 volte dei livelli di IL-6 e di circa 20 volte i livelli di proteina C reattiva (PCR). La concentrazione ematica di IL-6 incrementa in maniera esponenziale con l’intensità e la durata dell’esercizio.
Conclusione
I meccanismi fondamentali nello sviluppo di EAH sono la perdita di sodio con la sudorazione associato all’eccessivo introito di fluidi ipotonici come tentativo di compenso della disidratazione indotta dall’esercizio fisico strenuo. Sarebbe pertanto auspicabile una corretta prevenzione di questa eventualità clinica, nonchè delle sue temibili conseguenze, mediante l’educazione degli atleti ad un corretto introito idrico ed alla valutazione delle variazioni del proprio peso corporeo.
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