Il bicipite femorale è uno dei muscoli più importanti della loggia posteriore di coscia (oltre che al semitendinoso e semimembranoso). La zona posteriore della coscia, a livello muscolare è una zona molto interessante che ha un ruolo chiave in vari movimenti di natura quotidiana, ma anche di diversi sport running-based. In questo articolo ci focalizzeremo sul bicipite femorale.
Indice dell'articolo
Anatomia bicipite femorale
Il muscolo bicipite femorale è il componente laterale dei muscoli posteriori della coscia; il prefisso bi- si riferisce alle due teste, capo lungo e capo breve, le quali si differiscono per origine e inserzione. Inoltre il capo lungo, insieme a semimembranoso e semitendinoso costituisce il gruppo muscolare degli ischiocrurali (detti anche hamstring), ovvero quel gruppo di muscoli che originano dalla tuberosità ischiatica e con innervazione comune da parte del nervo ischiatico. Il capo breve trova la sua origine nella linea aspra del femore ed è innervato dal ramo peroneo comune.
Biomeccanica bicipite femorale
Si capisce come dal punto di vista anatomico, e di conseguenza anche dal punto di vista funzionale, i due capi del bicipite femorale facciano testo a sé. Infatti, se in generale al bicipite femorale vengono riconosciute tre azioni (flessione del ginocchio, estensione d’anca e rotazione laterale della coscia), più nello specifico vengono riportati livelli di attivazione più alti per il capo lungo (insieme al semimembranoso) nei pattern di estensione dell’anca, mentre il capo corto (insieme al semitendinoso) è maggiormente coinvolto nella flessione del ginocchio.
Un approccio evidence-based allo strength training di questi muscoli, soprattutto quando finalizzato alla prevenzione degli infortuni, dovrebbe tenere conto di tutti questi dettagli anatomo-biomeccanici e funzionali, oltre all’effetto e ai cambiamenti strutturali e morfologici che l’allenamento può apportare al tessuto muscolare.
Bicipite femorale: infortuni
Gli infortuni al bicipite femorale sono molto frequenti in soggetti come atleti che praticano corsa come sprint, ma anche calcio, rugby. Infatti questi muscoli sono coinvolti in un “host” di movimenti atletici come il correre, il saltare, il calciare ecc… una buona funzionalità dei muscoli del retro-coscia è importante in ottica prestativa, specialmente se viene richiesto fast running o running intervallato, con improvvisi cambi di ritmo e/o direzione. Un particolare scomodo di questa tipologia di infortuni è la loro percentuale di ricorrenza, con tasso di probabilità di reinfortunio che va dal 16 al 54%.
È evidenza scientifica come, tra questi muscoli, il capo lungo del bicipite femorale sia il più esposto al rischio infortunio negli sport che si basano sulla corsa; la sua particolare vulnerabilità può sicuramente dipendere da una variazione di lunghezza maggiore, con conseguente maggior espressione di forza (il bicipite femorale produce una forza 1,28 volte più grande rispetto al semimembranoso, che tra gli ischiocrurali è il muscolo “meno forte”), durante lo sprinting rispetto agli altri muscoli ischiocrurali, dovuta alla sua posizione anatomica (laterale nel retro coscia, copre quindi un’area più ampia).
In ogni caso gli infortuni del tessuto muscolare della zona ischiocrurale rappresentano una fetta importante della statistica di tutti gli infortuni tra gli sportivi; la loro entità spazia da un lieve danno muscolare senza perdita di integrità strutturale, come nel caso di stiramento e contrattura, fino al completo strappo muscolare, con rottura delle fibre che viene solitamente trattata chirurgicamente con il ricollegamento al tendine o alla tuberosità ischiatica. Sono più frequenti le lesioni alla porzione prossimale del muscolo, mentre infortuni a livello della porzione distale sono spesso associati ad altre complicanze del ginocchio e di rado sono infortuni isolati.
Trattare efficacemente questi infortuni è fondamentale per ripristinare la precedente condizione atletica, limitando il rischio di reinfortunio.
Per i casi di entità più grave, ovvero gli strappi, è previsto trattamento chirurgico; questi si verificano sia in atleti di élite, che spinti dalla competitività esasperano la continua ricerca e il superamento dei propri limiti, sia in amatori e non professionisti che spesso sottovalutano condizioni di sovraffaticamento e stati di infiammazione, che a lungo andare sfociano in problemi più gravi.
Stiramento e contrattura sono invece danni di medio-bassa entità che comportano fastidi e ridotta capacità di prestazione: sono comunque conseguenza di una sorta di falla del meccanismo di difesa chiamato in causa dai propriocettori (fusi e organo del Golgi) in risposta a una richiesta di sforzo eccessivo e non tollerabile. Riguardano infatti un alterato tono muscolare e un alterato rapporto stiffness-compliance (rigidità-flessibilità), che tende troppo a favore della rigidità nel caso di contrattura, e invece a favore di una condizione di allungamento nel caso di stiramento.
Stiramento bicipite femorale
Lo stiramento del bicipite femorale è molto frequente durante la corsa; il momento critico in cui il bicipite femorale è esposto al massimo rischio di lesione nello sprint è infatti proprio durante gli ultimi istanti della fase di swing, dove raggiunge il suo massimo allungamento e lavora con contrazione eccentrica per decelerare l’estensione del ginocchio (per attutire l’appoggio a terra), e per poi passare rapidamente all’estensione concentrica dell’anca; proprio questa fase di rapido passaggio da funzione di contrazione eccentrica a concentrica sembra essere quella che rende il bicipite femorale più vulnerabile agli stiramenti. Un particolare interessante è che la variazione di lunghezza del bicipite femorale è indipendente dalla velocità della corsa, ma all’aumentare della velocità aumenta la forza generata.
Altre ipotesi che potrebbero giustificare la maggiore vulnerabilità del bicipite femorale sono la diversa innervazione dei suoi due capi, la sua interdipendenza con l’articolazione dell’anca, con differenti angoli di flessione dell’anca e del ginocchio rispetto agli altri muscoli della zona, o ancora la predominanza di fibre di tipo II… nessuna di queste ipotesi è comunque sostenuta a pieno dalla ricerca scientifica.
Contrattura bicipite femorale
La contrattura del bicipite femorale è un accorciamento/retrazione del muscolo rispetto alla sua normale lunghezza a riposo, ed è caratterizzata da un aumento del tono muscolare, della stiffness e da ridotta elasticità; è una contrazione persistente, dolorosa e involontaria, che rappresenta un’alterata reazione difensiva a uno stress eccessivo (overuse) che va oltre la fisiologica capacità di tolleranza del muscolo.
È un infortunio con cui si trovano spesso a fare i conti i ciclisti, dove il movimento della pedalata è formato da un ciclo continuo di estensione e flessione alternata tra anca e ginocchio, che tende a rendere il bicipite femorale più rigido e vittima di retrazioni.
Trattamento
Il trattamento di stiramenti e contratture del bicipite femorale è generalmente di tipo conservativo, quindi il riposo risulta in questi casi fondamentale per ripristinare le normali condizioni dell’atleta e permettere il ritorno in campo nel più breve tempo possibile; per gli stiramenti è famoso il protocollo POLICE (protection, optimal load, ice, compression, elevation), che costituisce la primissima fase di trattamento, quella cioè che ha lo scopo alleviare il dolore e garantire una prima fase di approccio alla guarigione.
Nelle fasi successive lo scopo sarà quello invece di recuperare gradualmente angoli di movimento (ROM) e forza muscolare; anche il ritorno in campo costituisce una vera e propria fase di trattamento ma post-infortunio, caratterizzata dal monitoraggio e dal mantenimento di mobilità e forza al fine di evitare recidive.
Contratture e stiramenti sono danni relativamente lievi ma possono fungere da pretesto per danni più gravi, soprattutto quando vengono sottovalutati e non sono trattati a dovere, continuando con il normale svolgimento dell’attività sportiva.
Eziologia e fattori di rischio: possiamo tenere a bada questi infortuni?
Essere a conoscenza dei fattori di rischio di qualsivoglia tipologia di infortuni è importante per impostare e controllare fase riabilitativa e carico d’allenamento dell’atleta, quindi per attuare una strategia decisionale ottimale nel percorso che prevede il “ritorno in campo” nella miglior condizione prestativa possibile e con la più bassa possibilità di ricaduta dell’infortunio.
È necessario quindi capire se anche il carico d’allenamento può essere un fattore di rischio, al fine di trovarne il giusto dosaggio.
In ogni caso, i fattori associati al rischio di infortunio al bicipite femorale possono essere sia modificabili, quindi con più o meno ampio margine per intervenire e renderli prossimi allo zero, e non-modificabili, ovvero legati a componenti genetiche, biologiche e strutturali come l’età, la storia clinica dell’atleta e infortuni precedenti, o ancora l’architettura propria del tessuto muscolare.
Fattore età
L‘invecchiamento è sicuramente legato a un aumentato rischio infortuni per i cambiamenti fisici che esso comporta, sia strutturali per la componente mio-tendinea (quindi atrofia della sezione trasversale, stiffness ecc…), sia neurologici e coordinativi (denervazione delle unità motorie high-threshold, ovvero quelle ad alta soglia di attivazione).
Fattore infortuni passati
Gli infortuni passati possono portare a una ridotta lunghezza dei fascicoli muscolari del bicipite femorale, oltre ad atrofia e tessuto cicatriziale che ne limita la funzionalità, e ridotta azione volontaria per un disadattamento neurologico. Possono influenzare il rischio di infortunio al bicipite femorale anche infortuni in altre zone dell’arto.
Nuove scoperte mostrano infatti come una storia di infortuni al LCA e al polpaccio aumentano rispettivamente del 70% e del 50% il rischio di hamstring injuries. Il meccanismo alla base di ciò non è proprio chiaro, ma le cause ipotizzabili sono alterata propriocettività, deficit di forza, passo alterato, oltre al fatto che dopo un periodo di fermo il tessuto muscolare è meno tollerante al carico di lavoro. Tutto questo evidenzia comunque l’importanza di un trattamento riabilitativo di natura olistica, non considerando il corpo per segmenti ma nella sua integralità.
Squilibri muscolari: rapporto estensori-flessori
Un alterato rapporto di funzionalità tra gli estensori e i flessori della coscia può favorire un maggior rischio di infortuni; questa è una condizione abbastanza comune tra gli sportivi (su tutti, i calciatori), con i quadricipiti che nella maggioranza della popolazione sono generalmente un muscolo dominante e più sviluppato rispetto ai muscoli posteriori della coscia (knee-dominant). A questa situazione si può rimediare con un programma mirato al rinforzo dei muscoli della zona ischiocrurale: a tale scopo è stata molto studiata l’efficacia del nordic ham curl.
Fatica
Uno stato di affaticamento, sia esso cronico che acuto, può indurre la muscolatura a danneggiarsi più facilmente; non è un caso se la maggior parte di stiramenti e contratture avvengono nelle fasi finali di un match o di una competizione.
Fattore mentale
La condizione psicologica dell’atleta può influenzare il tono muscolare, quindi può rappresentare anch’essa un fattore di rischio infortunio; stati di stress possono infatti associarsi a una generale maggiore tensione muscolare, quandi c’è una diretta correlazione tra distress cognitivo e tensione muscolare.
Fattore ambientale
Anche fattori esterni come terreno o scarpe poco idonee possono favorire il rischio infortuni; svolgere una gara su un terreno insolito può garantire un appoggio poco stabile e alterare la funzione dei propriocettori, aumentando la probabilità di incorrere in stiramenti o contratture.
Oltre tutto ciò, è doveroso ricordare come un buon warm-up, studiato nel dettaglio, possa giocare un ruolo chiave nella prevenzione delle lesioni in allenamento e in gara.
Ogni infortunio è sempre caratterizzato da una certa imprevedibilità, ma c’è anche una vasta gamma di fattori sui quali è possibile intervenire in maniera programmata per minimizzare i rischi.
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