Negli anni la dicotomia tra il crescente allarme circa il dilagare di obesità e diabete e la progressiva spinta salutista del mondo fitness, hanno indotto le aziende alimentari ad incrementare la produzione di cibi e bevande senza zucchero, sostituendo gli zuccheri presenti con vari edulcoranti, dall’elevato potere dolcificante ma basso o assente potere calorico. Tale utilizzo attecchì inizialmente negli USA, da sempre paese dall’alto tasso di obesità sia nella popolazione adulta che infantile, per poi trovare facile diffusione nei restanti stati.
Una classificazione semplicistica dei dolcificanti ad oggi utilizzati nella filiera alimentare vede una suddivisione in due categorie:
- Carboidrati e derivati:
- Zuccheri ordinari (Saccarosio, fruttosio), i quali avranno potere calorico;
- Polioli (sorbitolo, xilitolo, ecc.) i quali hanno basso potere calorico ma che molto comunemente sono implicati nella genesi di disturbi gastrointestinali.
- Dolcificanti intensi, dal potere dolcificante nettamente più elevato rispetto allo zucchero comune, ma ipocalorici.
- Naturali come la Stevia;
- Artificiali (acesulfame K, Saccarina, Aspartame, ciclammato, advantame, sucralosio ecc.).
L’utilizzo di questi dolcificanti ipocalorici fu accolto con entusiasmo proprio in relazione alla netta differenza calorica rispetto allo zucchero comune, emergono infatti delle notevoli differenze nutrizionali tra una bevanda prodotta con zucchero rispetto alla controparte ipocalorica. Leggendo le tabelle nutrizionali di una famosa bevanda gasata potremo notare come la versione classica presenti circa 35 grammi di carboidrati con un monte calorico di circa 139 Kcal, mentre nelle varie versioni a zero calorie risulta assente lo zucchero con un valore energetico pressoché di 0 Kcal mentre il potere dolcificante è garantito dalla miscelazione di vari edulcoranti tra i quali troviamo l’acesulfame K, aspartame, ciclammato, sucralosio e la stevia. Limitandoci a considerare le differenze nutrizionali è evidente che la sostituzione delle bevande classiche con la controparte 0 sia in grado di evitare l’introduzione di calorie definite “vuote” e sia in grado di azzerare gli affetti metabolici negativi dell’introduzione di 35gr di zuccheri semplici, questo sia nell’ottica di una emergenza sanitaria data dal drammatico aumento di obesità in tutte le fasce d’età, che nell’ottica di una persona sportiva ed attenta alla forma fisica che voglia concedersi una bevanda senza però impattare sull’aspetto nutrizionale. Come infatti fu dichiarato dall’American Heart Association e dall’ American Diabetes Association, il monitoraggio dell’assunzione di carboidrati, che include la limitazione degli zuccheri aggiunti, è una strategia chiave per ottenere il controllo glicemico ed un peso ideale [1].
Dolcificanti e metabolismo
Tuttavia gli entusiasmi iniziali furono fortemente messi in discussione dalla comunità scientifica in varie analisi e studi successivi, nei quali venne evidenziato il possibile collegamento tra il consumo quotidiano di tali sostanze sintetiche e l’insorgenza di patologie metaboliche, oncologiche e neurodegenerative. È oramai evidente che il recettore del gusto dolce, stimolato anche dagli edulcoranti artificiali, sia presente a carico della mucosa intestinale, sulla lingua e nelle cellule entero-endocrine con riscontro anche a carico delle cellule β pancreatiche in studi sul topo[2], è stato inoltre evidenziato che la stimolazione di tale recettore risulta in grado di garantire a sua volta la stimolazione dei trasportatori del glucosio GLUT2 [3] ed SGLT2. In studi effettuati su topi è stata dimostrata la capacità di tali dolcificanti di indurre un incremento della secrezione insulinica sia mediata dalla diretta stimolazione dei recettori del gusto dolce che mediata dall’incremento dell’assorbimento di glucosio [2-4]. Sempre nell’ottica metabolica stanno incrementando le evidenze che vedono tali sostanze come capaci di alterare la composizione del microbioma, di generare una ridotta sazietà alterarando l’omeostasi glucidica, ed il loro consumo è associato ad un aumento del consumo calorico e dell’aumento di peso [5]. In uno studio del 2007 condotto durante l’esercizio acuto in 14 uomini con diabete di tipo 2, Ferland et al . osservarono che un pasto contenente aspartame induceva un aumento dei livelli di glucosio ed insulina simili al pasto con saccarosio, suggerendo che il consumo di dolcificanti potrebbe essere deleterio per i diabetici[6] . In contrapposizione a ciò in altri studi venne sottolineato come il consumo di aspartame non abbia avuto effetti sulla glicemia il peso corporeo e l’appetito in soggetti sani e magri[7] e parimenti il sucralosio e l’Acesulfame K non abbiano mostrato effetti sulla secrezione di GLP-1, insulina o sulle concentrazioni di glucosio nel sangue sempre in esseri umani sani[8]. In una analisi pubblicata su Nutrient nel 2019 venne posta come conclusione che la stevia riduce la sensazione di appetito e non aumenta ulteriormente l’assunzione di cibo e i livelli di glucosio postprandiali[9].
Dolcificanti e Neoplasie
Un altro aspetto sul quale esiste un costante dibattito scientifico, è l’eventuale associazione tra l’utilizzo di edulcoranti e l’insorgenza di neoplasie. In una valutazione epidemiologica sull’aspartame condotta nel 2019, si è concluso che gli studi analizzati non supportano che l’esposizione bevande contenenti aspartame sia associato ad un aumentato rischio di cancro nell’uomo[10] ne in cellule ematopoietiche[11] .
Il parere dell’EFSA sui dolcificanti
Nel corso di questi anni l’EFSA (european food safety authority) ha pubblicato varie analisi inerenti i dolcificanti sottolineando l’assenza di complicanze per la salute derivante dal loro consumo, ma stabilendo le rispettive DGA (dose giornaliera accettabile) per Kg di peso corporeo. Nel 2013 una prima valutazione dell’EFSA sull’aspartame evidenziò che essa ed i suoi prodotti di degradazione sono sicuri per la popolazione in generale (compresi i neonati, i bambini e le donne in gravidanza) stabilendo una dose DGA di 40mg/kg/die, risultando comunque controindicato in chi è affetto da fenilchetonuria. Sempre nel 2013 venne indicato sicuro per l’uso come dolcificante anche l’advantame, stabilendo una DGA di 5 mg/kg/die, mentre la sicurezza dei glucosidi steviolitici venne evidenziata già nel 2010, con una DGA di 4 mg/Kg/die.
Per quanto riguarda la recente questione sollevata in una ricerca dell’istituto Ramazzini, circa la possibilità del sucralosio di indurre neoplasie nei topi, l’EFSA ha concluso che i dati disponibili non sono a favore della tesi secondo la quale tale dolcificante possa indurre neoplasie[12] . Discorso differente è quello inerente il ciclammato, dolcificante comunemente utilizzato nelle bevande commercializzate in Italia il quale è stato ritirato dall’uso alimentare negli USA come conseguenza di alcuni studi che ne individuavano l’associazione con tumori nei ratti, tale associazione non fu però riscontrata negli studi epidemiologici sull’uomo [13].
Potere dolcificante rispetto al saccarosio | DGA | ||
Acesulfame K | E950 | 200 | 9 mg/kg die |
Aspartame | E951 | 160-200 | 40 mg/Kg die |
Ciclammato | E952 | 30 | 7 mg/Kg die |
Advantame | E969 | > 20000 | 5 mg/Kg die |
Saccarina | E954 | 300-500 | 5 mg/Kg die |
Stevioside | E960 | 200-300 | 4 Mg/Kg die |
Sucralosio | E955 | 600 | 15 mg/Kg die |
In conclusione, i dolcificanti offrono maggiori scelte alimentari alle persone che cercano di ridurre le calorie e nello stesso tempo migliorare l’appetibilità del cibo. Tuttavia, molti dei loro presunti effetti rimangono dubbi proprio in relazione alla loro capacità di stimolare i recettori del gusto e da li la possibilità di innescare le risposte ormonali consequenziali. Una problematica nel decretare l’affidabilità di tali sostanze è ricollegabile alla notevole eterogeneità dei risultati ottenuti nei vari studi, tali studi osservazionali spesso rimangono confusi producendo risultati opposti [14] . Rimane dunque il presupposto di consumare con moderazione tali bevande per le quali, seppure prive di zuccheri aggiunti e prive di potere calorico, la ricerca scientifica non è concorde nel ritenerli inerti da un punto di vista metabolico.
- Gardner C. Nonnutritive sweeteners: current use and health perspectives: a scientific statement from the American Heart Association and the American Diabetes Association.
- Nakagawa Y. Sweet taste receptor expressed in pancreatic beta-cells activates the calcium and cyclic AMP signaling systems and stimulates insulin secretion. PLoS ONE. 2009;4(4):e5106.
- Arienti G. Le basi molecolari della nutrizione. Piccin
- Margolskee RF. T1R3 and gustducin in gut sense sugars to regulate expression of Na+-glucose cotransporter 1. Proc Natl Acad Sci USA. 2007;104(38):15075-80.
- Pearlman M – Curr Gastroenterol Rep (2017) The Association Between Artificial Sweeteners and Obesity.pdf
- Ferland A. Is aspartame really safer in reducing the risk of hypoglycemia during exercise in patients with type 2 diabetes?. Diabetes Care. 2007;30(7):e59.
- Higgins KA. Aspartame Consumption for 12 Weeks Does Not Affect Glycemia, Appetite, or Body Weight of Healthy, Lean Adults in a Randomized Controlled Trial. J Nutr. 2018;148(4):650-657.
- Wu T. Artificial sweeteners have no effect on gastric emptying, glucagon-like peptide-1, or glycemia after oral glucose in healthy humans. Diabetes Care. 2013;36(12):e202-3.
- Farhat G. Effects of Stevia Extract on Postprandial Glucose Response, Satiety and Energy Intake: A Three-Arm Crossover Trial. Nutrients. 2019;11(12)
- Haighton L. Evaluation of aspartame cancer epidemiology studies based on quality appraisal criteria. Regul Toxicol Pharmacol. 2019;103:352-362.
- Lim U. Consumption of aspartame-containing beverages and incidence of hematopoietic and brain malignancies. 2006 Sep;15(9):1654-9
- Aguilar F. Statement on the validity of the conclusions of a mouse carcinogenicity study on sucralose (E 955) performed by the Ramazzini Institute. EFSA Journal
- Weihrauch MR. Artificial sweeteners: do they bear a carcinogenic risk?. Ann Oncol. 2004;15(10):1460-5.
- Sharma A. Artificial sweeteners as a sugar substitute: Are they really safe?. Indian J Pharmacol. 2016;48(3):237-40.
Grazie dottore!